Eredita una vera fortuna da un anziano aquilano, i parenti fanno ricorso

 Ereditò una vera fortuna da un anziano dell’Aquila scampato miracolosamente al terremoto del 2009. Quello stesso anziano che lui assistette per alcuni mesi fino al 2010, anno in cui morì dopo aver appena compiuto cento anni. Da allora iniziò la favola per Giuseppe Coco, 57 anni di Canistro, manutentore alla Ini e a Villa Alba, le due strutture sanitarie operanti nel piccolo centro rovetano. Una favola però ora interrotta da un’indagine della procura della Repubblica di Avezzano condotta dal pubblico ministero, Maurizio Maria Cerrato, che dovrà far chiarezza sul testamento di Dante Piccinini, ex impiegato del Comune dell’Aquila. Testamento di cui è appunto beneficiario Giuseppe Coco e contro cui si sono opposti i parenti dell’anziano possidente.
La Procura dovrà verificare se ci fu circonvenzione di incapace data l’età avanzata di Dante Piccinini. I beni ereditati da Giuseppe Coco consistono in oltre un milione e mezzo di euro in fabbricati più 600 mila euro tra liquidità, polizze assicurative, conti correnti e libretti postali. Insomma, un bel gruzzolo. I fatti. Tutto inizia dopo il terremoto del 6 aprile del 2009. Dante Piccinini vive da solo ed è solo nella sua casa all’Aquila quando arriva la scossa fatale. La sua abitazione subisce lievi danni, ma l’anziano deve comunque andare via da lì. All’indomani del terremoto, lo prelevano i carabinieri e lo portano da parenti con i quali però non va d’accordo, tant’è che se ne va via e con un taxi raggiunge la sede dei vigili urbani dell’Aquila i quali, tramite la Protezione civile, trasferiscono Piccinini in un agriturismo di Tagliacozzo. Pochi giorni dopo lo spostamento definitivo a Canistro, nella struttura sanitaria di Villa Alba dove ci sono anche altri anziani terremotati dell’Aquila, tutti assistiti da Giuseppe Coco. «Mi volevano tutti bene - racconta Coco -. Fra di loro arrivò poi anche Dante Piccinini, con cui avevo un rapporto normale, lo seguivo come seguivo gli altri degenti. Lui era un uomo solo, non era mai stato sposato, non aveva figli, non aveva parenti diretti, gli unici eredi erano figli di cugini. E un giorno mi disse che voleva sdebitarsi con me, per quello che stavo facendo per lui. Io dissi che non serviva. Poi espresse il desiderio di volermi fare testamento, ma io tentai di dissuaderlo. Lo pregai di non mettermi nei casini, sapendo anche che aveva dei parenti. Mi rispose che nessuno dei suoi parenti si era mai occupato di lui, tant’è vero che nei giorni prima del terremoto, quando c’erano tutte quelle piccole scosse, dormiva nella sua automobile, una 850, con l’unica compagnia che aveva: una gattina». Insomma, una storia di solitudine di un uomo ricco che della sua ricchezza ala fine non sapeva che fare.
L’incontro con Coco fu per lui quasi illuminante. «Piccinini - racconta ancora Coco - voleva che le sue case, i suoi beni continuassero a vivere. Se li avesse lasciati ai suoi parenti, mi diceva, questi avrebbero venduto tutto. Un giorno quindi mi pregò di chiamare un notaio insieme a due testimoni. Mi disse anche che io dovevo rimanere fuori ad aspettare. Inutile da parte mia qualsiasi opera di dissuasione. Mi ripeteva sempre che era libero di fare il testamento a chi voleva lui e il prescelto ero io. Il 10 marzo del 2010, pochi giorni prima che morisse, fece chiamare un notaio con due testimoni e in una stanza dell’Ini scrisse il testamento. Io rimasi fuori dalla stanza. Quando vidi l’atto del notaio ormai compilato e sottoscritto, rimasi stupefatto: mai avrei immaginato l’imponenza di una tale eredità alla quale non avrei mai ambito. Il testamento, però, come del resto era prevedibile venne impugnato da una sua parente. Ora aspetto che la Procura proceda nelle indagini e dimostri che non ci fu imbroglio da parte di nessuno». A Canistro e in tutta la Valle Roveto la vicenda ha creato parecchia curiosità.



 



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