ALFONSO ACITELLI, MIO NONNO - FRANZ KAFKA, SCRITTORE di Fernando Acitelli

ALFONSO ACITELLI, MIO NONNO

FRANZ KAFKA, SCRITTORE

- di Fernando Acitelli -

 

    

 

                                                             L’amore non è un problema,

                                                             come non lo è un veicolo:

                                                              problematici sono soltanto

                                                               il conducente, i viaggiatori e la

                                                              strada.”      

                                                                                                                                                      ***

                                                            “Amore è il fatto che tu sei per me

                                                             il coltello col quale frugo dentro

                                                            me stesso.”

                                                   Franz Kafka


 

Alfonso Acitelli nacque ad Assergi l’8 giugno 1883 e morì a Roma il 25 giugno 1924; Franz Kafka, nacque a Praga il 3 luglio 1883 e morì nel sanatorio di Kierling, presso Vienna, il 3 giugno 1924.

Lo so, si torna sempre agli affetti ma è una strada giudiziosa soprattutto quando grazie a questo movimento a ritroso si possono incontrare altre esistenze che, sebbene in differenti nazioni, sorsero al mondo nello stesso anno e sparirono pure nello stesso anno. Per mio nonno materno, Lorenzo Giusti, ho avuto l’occasione d’accostarlo a Martin Heidegger, mentre per mio nonno paterno c’è un’altra possibilità di ricordarlo, e questa volta non adagiandolo nel paesaggio della Filosofia ma in quello della Letteratura. Pensate un po’ quali sublimi accostamenti! E questo soltanto inoltrandomi nelle date di nascita e di morte. Del resto siamo previsti in simile traiettoria e mia cura fu sempre scrutare, d’ognuno, l’alba e il tramonto. Non vi fu giorno della mia vita in cui non congiunsi i punti di partenza e arrivo di una simile traiettoria, e questo sia per gli uomini “illustri” che per gli anonimi entrati nel cerchio d’ombra della mia esistenza.

Le fonti superstiti su mio nonno Alfonso fanno riferimento a due fotografie ed un biglietto scritto da Philadelphia a sua moglie Teresa Lalli. Per il resto s’è ai frammenti, ovvero ai ricordi di mio padre che quando morì il genitore aveva sette anni. Dunque posso contare soltanto sulla letteratura (che predispone al sogno) e su quel gioco di due filmati paralleli e degli incastri anagrafici. Dopo aver appreso l’arte dell’edificazione, e  dunque i segreti delle costruzioni, mio nonno comprese come fosse quella la sua professione; e a tale proposito sarebbe un miracolo risalire al “maestro di bottega” che istruì mio nonno e seppe dargli, dunque, una “qualifica”. Ma fu un uomo di Assergi, costui? O dei paesi circostanti? Penso agli insegnamenti di Domenico Ghirlandaio per Michelangelo: è tutto ammesso nelle regioni del sogno. Vero è che ai primi del ‘900 nonno Alfonso partì per la Prussia (sì, quel nome era ancora in auge, infatti si sentiva ancora l’eco dell’Impero Prussiano). Ecco allora la prima riflessione: dove prese il treno mio nonno per raggiungere quella nazione? Parliamo d’una regione della Germania, a est, praticamente a contatto con Danzica e la Polonia. I Prussiani erano famosi per l’esemplarità del loro esercito, nel quale spiccavano efficienza e disciplina. E chi indirizzò mio nonno nella Prussia? Ne parlarono ad Assergi? E questo accadde di giorno in Piazza o sotto l’orologio?

A quel tempo non c’erano ancora gli aerei, s’era ai primi tentativi dei fratelli Wright e del loro sperimentale ma già propositivo velivolo Wright Flyer; e anche in Italia si moltiplicavano studi ed esercitazioni dal vivo e i fratelli Faccioli a Torino furono a tale proposito esemplari. In molte foto, pure, si vede il D’Annunzio in scenari a lui favorevole che furono quelli delle sperimentazioni e questo in ogni campo del progresso, dai motori alla moda alla pubblicità. Non è un caso che il suo romanzo Forse che sì forse che no, abbia come sottofondo proprio l’ambiente del volo. Dunque ci si esercitava con i primi velivoli sperimentali su terreni sconfinati di modo che un possibile “disastro aereo” avrebbe riguardato soltanto il pioniere che era a bordo. E lontani, in quell’esteso latifondo, i curiosi ad osservare estasiati il miracolo del sollevarsi da terra. I rinascimentali tentativi di Leonardo sembravano diventare realtà. E qualcuno a riprendere la sequenza di quelle prove con marchingegni che filmavano tutto magicamente.

Tutto questo per dire che mio nonno Alfonso per raggiungere la Prussia ebbe a vedersela con il treno e sicuramente fu la stazione di Roma il suo punto di partenza. Ma a Roma giunse presumibilmente con il postale, uno di quelli che potevano rischiare l’integrità di semiassi e ruote a causa delle strade sassose e dissestate. Va bene, ammettiamo che sia giunto a Roma con il mitico postale, e poi cosa fece? Dove s’indirizzò? Ebbe a scegliere il pernottamento in uno di quegli alberghi alla buona che ogni stazione possiede tutt’attorno? E si sentiva ancora parlare dai giornali di Crispi e magari dell’onda lunga della disfatta di Adua? E del Giolitti tornato in sella dopo lo scandalo della Banca Romana? Perché mio nonno non conservò, eventualmente, un giornale e la ricevuta della pensione ove pernottò? Ma se nulla si sa è anche probabile che egli, giunto a Roma, sia salito subito sul treno. Giornali, biglietti ferroviari, ricevuta dell’albergo, ecco, con questi oggetti meravigliosi avrei adesso tanto da scrivere, tanti modi in più per sentire mio nonno più vicino. Dunque, reperti come possibilità tattile di poter sfiorare ancora mio nonno. Stazione: fluire di gente, commendatori bolsi e infarfallati, colletto tondo di camicia, fermacravatta d’oro, monocolo, orologio appeso al gilet, e poi vecchi avvocati con baffi solenni da sembrare onorevoli alla Marco Minghetti, alla Sidney Sonnino; luce nitida e volti rosei delle persone, assenza di polveri sottili, sintesi di là da venire, e invece apoteosi del monociclo, fotografie del Conte Primoli nella campagna romana, cavalli a Villa Glori, e il popolo minuto come coreografia. E allora: locomotiva sbuffante, caldaia, lucentezza della biella motrice, fischio a vapore, insomma qualcosa che poteva assomigliare all’Orient Express. E le probabili sorprese tra corridoi e scompartimenti. 

Nulla si sa del sistema ferroviario, gli snodi, le coincidenze, lo sguardo del macchinista, quello del controllore. Ma dove scese e cambiò treno per proseguire fino al cuore junker della Prussia? Mio nonno a bordo in una probabile 2° classe: rimbalzano nella mente immagini di treni austro-ungarici e, accanto a questi, flash di locomotive in scenari western. Simili mondi paralleli confortano e quando mio nonno, tempo dopo l’avventura prussiana e la Grande Guerra nel “Genio Pontieri”, sbarcò a New York, un treno dovette prenderlo per raggiungere Philadelphia. Dunque seppe di treni, s’impossessò di tante immagini, valutò la velocità degli spostamenti. Se non fosse morto giovane, avrebbe forse saggiato anche i “vuoti d’aria” dell’aereo oltre che i vuoti della vita. Sua traiettoria: Assergi, Roma, Prussia, Fronti di Guerra come “diversivo”: Isonzo, Roma, Assergi, Napoli, NewYork, Philadelphia, NewYork, Napoli, Roma,Assergi, Roma, quiete definitiva.

Dalla Prussia ritornò con strumentazioni inaudite, con tutto un armamentario tecnico forse impensabile nel Regno d’Italia. Lo conservò gelosamente ma chissà chi, nella casa paterna, non volle custodirlo e lo scambiò per un universo di giocattoli. Mio nonno Alfonso era troppo distante dagli altri, oggi si potrebbe benissimo dire che “aveva un altro passo”, un’altra sensibilità. Un passo anche elegante almeno a sentire alcune persone che erano vive negli anni ’70 e che di sicuro lo avevano incrociato. In breve, di quella collezione degna d’un museo non si seppe più nulla e allora i suoi gioielli rimasero i figli: Francesco Italo (mio padre) nato il 18 dicembre 1916 e Fernando, nato il 5 ottobre 1919. Quella casa che si scorge all’inizio della Pisterola, quella che vide poi ospitare Adamo Acitelli, Rita ed i loro figli, fu la prima casa dove andò a vivere la famiglia di mio nonno. Era la cosiddetta “casa di Milord” e riporto quest’ultima annotazione come verità e non come un bel “sentito dire”. Il muro davanti. Un muro davanti alla vita e dunque già quella sembrava un’occlusione esistenziale. Ma comunque era bello quel posto e, ogni volta che ci passavo, dedicavo a quell’uscio un minuto di raccoglimento.

Mio nonno morì a Roma costruendo una casa. Quella morte rimase con molte ombre e non si trattò soltanto d’una fatalità: mentre agonizzava nel sottostante orto dopo essere precipitato da un’altezza notevole (si parlò d’una spinta), una carrucola dall’alto aveva centrato appieno la sua testa. Nel frattempo gli operai già stavano dividendosi i suoi soldi nella stanza adibita a spogliatoio. La notizia fu riportata anche dal quotidiano “Il Messaggero”.

Di visibile ad Assergi mio nonno lascia la casa detta di Chiovare, quella di fronte a Giuseppe di Olimpia, e poi quel mosaico che impreziosisce la porta di casa della Foletta con l’anno dipinto, 1909. Egli, dunque, a parte la mia narrazione per metà sognante ma anche con pezze d’appoggio, resiste per quei due ricami perché anche una casa è un mosaico E poi, l’averlo collocato accanto a Franz Kafka mi conforta.

Parlare del grande scrittore di Praga credo sia superfluo e non aggiungerei molto a quanto s’è già scritto su di lui. Mi limiterò a dire che resta uno scrittore fondamentale per capire il XX secolo e poche altre cose per inquadrarlo un poco. Tre romanzi Il processo, Il castello e America, poi tanti racconti. E se James Joyce rivoluzionò la forma romanzo dall’esterno, cioè nel suo lato formale, Kafka provvide a mutarlo dall’interno. Pur narrando le cose con una semplicità dimessa, trasportò tutta la vicenda in un mondo surreale che è lo specchio deformante di quello a noi consueto. Il suo spazio narrativo è un mondo allucinato, sospeso tra il sogno e il delirio, e in esso i personaggi, quasi spogli di caratteristiche, sono umanissimi e vivono una loro vicenda assurda, spaventosa e a volte anche umoristica; ma a ben vedere si tratta d’un umorismo intriso di magia e che destabilizza. In queste sue scarne narrazioni l’uomo contemporaneo si riconosce e dunque il grande scrittore vide tutto in anticipo. Soltanto Kafka, infatti, con le sue atmosfere metafisiche, seppe trattare la sostanza di grandi fenomeni del mondo moderno come ad esempio l’asservimento dell’uomo ad enormi strutture statali e burocratiche che lo dominano senza che egli ne conosca il volto e le oscure strategie; e ancora: lo stato di angoscia, di prigionia che opprime tanta parte del mondo moderno. Naturalmente tutto questo narrato da grande scrittore senza cioè osare prediche o dimostrazioni.

Anche Kafka subì torture: tragico il rapporto con il padre che non individuava il genio e voleva fare di lui soltanto un bravo commerciante. Fu letteralmente schiacciato da quel colosso e, a tale proposito, il racconto La metamorfosi è emblematico. E inoltre: la notte in cui il padre lo confinò sul balcone della stanza da letto; i mattini in cui la domestica lo accompagnava a scuola minacciando poi di denunciarlo al maestro; e quella domenica in cui aveva iniziato a scrivere un romanzo per la qualcosa venne disprezzato dallo zio. Eppure vi furono episodi meravigliosi nella sua vita; il giorno per così dire “memorabile” fu la sera del 13 agosto 1912, e cioè quando conobbe Felice Bauer, con la quale intraprese una storia d’amore. Di quell’incontro ricordava ogni dettaglio ma a lei ricorreva affinché di quella sera non si perdesse neppure un istante, un gesto, una sensazione, un colore.

L’altra donna della sua vita fu Milena Jesenská, di Praga come lui e sua traduttrice dal tedesco al ceco. Costei era frizzante, brillante, generosa ma anche lei dovette sperimentare l’impossibilità di Kafka di vivere nella norma sociale. La malattia fu per Kafka il rifugio, la salvezza, dunque un territorio dove sentirsi libero dalle esigenze del mondo dal quale egli si avvertiva escluso e annientato. Le lettere indirizzate a Milena chiariscono quanto fosse difficile per Kafka consentire che qualcuno potesse entrare nel suo protetto isolamento; e ancora più problematica storia consentirlo ad una donna come Milena dotata d’un vitalismo straordinario.

Visto che si parla fondamentalmente di traiettorie esistenziali, sarà bene ora ricordare che Milena Jesenská morirà il 17 maggio 1944 nel campo di concentramento di Ravensbrück, perché ebrea. Almeno all’ebreo Kafka fu risparmiato un simile orrore e lui si congedò dalla vita non immaginando di cosa fossero capaci gli uomini.

Nel 2024 si ricorderanno i cento anni dalla morte di Franz Kafka. Ci saranno delle bellissime manifestazioni e inoltre convegni, dibattiti, e si farà il punto sul grande scrittore; sicuramente sarà l’occasione per promuovere ancora di più i suoi libri. Se ne parlerà non soltanto a Praga e nei luoghi che lo riguardarono e cioè Merano, Vienna, Berlino tra gli altri, ma in tutto il mondo e non vi sarà un angolo del pianeta dove non s’eleverà il suono di quel nome. Per quanto riguarda mio nonno Alfonso, lo ricorderò e lo festeggerò in privato e questa narrazione, con il sostegno di Kafka, sarà per lui splendida. Non usciranno inediti per mio nonno, né vi saranno manifestazioni  ma è bello ricordare quel 1883 in cui nacquero i poeti Umberto Saba (9 marzo a Trieste), il poeta argentino Evaristo Carriego (7 maggio a Paraná) e quindi l’altro poeta Guido Gozzano (19 dicembre a Torino). Quanta Poesia in quell’anno! Con tutti questi nomi illustri il borgo di Assergi è finito nella vicende della Letteratura ed anche tra settenari ed endecasillabi.

Animo, nonno Alfonso! Stai in ottima compagnia!



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